mercoledì 4 giugno 2008

Morti "straordinarie".

di MISAKO HIDA*
Repubblica ha pubblicato l'articolo che ha vinto il premio giornalistico "Media for Labour Rights", indetto dall'ILO, l'agenzia dell'Onu per i diritti del Lavoro. "Tutto il tempo che ho passato è stato sprecato". In una giornata di marzo del 1999, ancora prima che i germogli di ciliegio cominciassero a sbocciare, un ragazzo di 23 anni, Yuji Uendan, in preda a una forte depressione causata dall'eccesso di lavoro, si è tolto la vita. È stato trovato nel suo appartamento di Kumagaya, alla periferia di Tokyo, con quelle parole scribacchiate su una lavagnetta bianca che usava per l'elenco degli appuntamenti giornalieri. Uendan aveva lavorato per quasi 16 mesi come ispettore di apparecchiature per la produzione di semiconduttori, in una stanza asettica con una luce soffusa giallastra nella fabbrica della Nikon a Kumagaya, vestito dalla testa ai piedi con una divisa bianca sterile. Era stato assunto dall'appaltatrice Nextar (oggi Atest) che lo mandava per incarichi a termine alla Nikon, una delle principali produttrici giapponesi di macchine fotografiche e dispositivi ottici. Uendan faceva turni di giorno e di notte di 11 ore a rotazione, con straordinari e viaggi extra che gli facevano raggiungere le 250 ore al mese. Nel suo ultimo periodo di lavoro all'interno della fabbrica era arrivato a 15 ore consecutive senza un giorno libero. Soffriva di mal di stomaco, insonnia, intorpidimento delle estremità. In poco tempo era dimagrito di 13 chili. "Aveva la faccia molto tirata" racconta la madre, Noriko Uendan, 59 anni, che ha cominciato a soffrire di angina dalla morte del figlio e ora porta sempre con sé pillole di nitroglicerina. "Mi fa soffrire pensare a quanti giorni è rimasto lì, da solo, prima che lo trovassero".


Nel marzo del 2005, il tribunale distrettuale di Tokyo ha dichiarato che sia la Nextar sia la Nikon erano da ritenersi responsabili per la morte di Uendan e ha ordinato a entrambe le aziende il risarcimento dei danni. "È stata una vittoria senza precedenti per i lavoratori temporanei", ha detto l'avvocato di Uendan, Hiroshi Kawahito, che è anche segretario generale del Consiglio di difesa nazionale per le vittime di "Karoshi". L'espressione giapponese che sta a significare "morto per eccesso di lavoro" ormai è stata adottata anche dalla lingua inglese, basta consultare il dizionario Oxford. "Si è trattato del primo caso in cui non solo l'azienda che forniva personale temporaneo, ma anche quella che lo riceveva, sono state condannate per negligenza" ha aggiunto Kawahito. Ma la causa non è conclusa. Entrambe le aziende sono ricorse in appello, ma la madre della vittima non intende darsi per vinta. La battaglia legale perciò continua alla corte d'appello di Tokyo, dove alla fine di gennaio si è tenuta la dodicesima udienza. "Negli ultimi anni, sempre più lavoratori temporanei sono stati costretti a lavorare tanto quanto i dipendenti a tempo pieno ed è molto comune che le società appaltatrici forniscano illegalmente ai propri clienti dipendenti di fatto come se fossero interinali o temporanei", dice Koji Morioka, professore di economia e autore di The Age of Overwork, L'era del lavoro eccessivo. "Visto lo status quo, il caso di Uendan ha un'importanza particolare perché si è trattato in assoluto della prima richiesta di indennizzo per il suicidio di un lavoratore temporaneo a causa di straordinari ed eccesso di lavoro." La questione del "karojisatsu", letteralmente "suicidio dovuto all'eccesso di lavoro" è un problema serio in Giappone. Il numero di suicidi è aumentato drasticamente, superando i 30 mila casi dal 1998, quando il tasso di disoccupazione raggiunse un record dai tempi del dopoguerra. Secondo gli ultimi dati dell'Organizzazione mondiale della Sanità, il numero di suicidi in Giappone è quasi il doppio di quello negli Stati Uniti. L'ultimo studio dell'agenzia di Polizia nazionale giapponese evidenzia che nel 2006 si sono tolte la vita, in tutto il paese, 32.155 persone. Kawahito stima che più di cinquemila suicidi ogni anno sono il risultato della depressione causata da eccesso di lavoro. Secondo le ultime stime dell'Organizzazione internazionale del Lavoro, ILO, il Giappone detiene il primato di dipendenti che superano le 50 ore a settimana (28,1 per cento), mentre nella maggior parte dei paesi dell'Unione Europea, la cifra non va oltre il 10 percento (in Italia siamo al 4,2 per cento). "L'era del lavoro eccessivo" riporta che la quota di ferie retribuite da parte dei dipendenti giapponesi è scesa al 47 percento nel 2004 dal 61 per cento del 1980. "I troppi straordinari quasi impediscono ai lavoratori di godere di ferie retribuite e questo costituisce un problema" sostiene Kosuke Hori, a capo dell'Associazione giapponese degli avvocati del lavoro. Il Giappone non ha ratificato alcuna Convenzione dell'ILO sull'orario lavorativo, comprese la Convenzione 132 relativa alle ferie retribuite e la Convenzione 1 sulle ore di lavoro. La legge nazionale non mette un tetto al lavoro straordinario per certe professioni e in certe condizioni. "Quando si tratta di ore lavorative - Marioka scrive nel suo libro - in Giappone non c'è alcun riferimento agli standard internazionali". "Ho giurato su mio figlio mentre era in coma che non mi sarei mai arresa - ha detto la madre di Yuji Uendan - e spero davvero che in futuro le aziende giapponesi lascino avere vite dignitose ai propri dipendenti, tanto da arrivare a morire di vecchiaia".
*Misako Hida è una giornalista freelance giapponese che scrive da New York per le riviste The Economist, Sunday Mainichi, Toyo Business e Newsweek Japan. Con l'articolo "The Land of Karoshi" ha vinto il premio giornalistico "Media for Labour Rights" istituito dal Centro internazionale di formazione dell'ILO, che ha sede a Torino. L'ILO è l'agenzia dell'Onu per i diritti del lavoro e il premio, alla sua prima edizione, è legato al progetto di formazione per giornalisti e operatori dei media volto a diffondere la conoscenza degli standard internazionali del lavoro. In questi giorni si tiene a Ginevra la 97° Conferenza Internazionale del Lavoro, appuntamento annuale in cui l'ILO riunisce i rappresentanti dei ministeri del welfare, delle organizzazioni sindacali e delle imprese di tutto il mondo per discutere delle tendenze globali dell'occupazione e promuovere il lavoro dignitoso (Decent work).

3 commenti:

Simone ha detto...

Bellissimo questo post, sai che non posso non condividere.
facio due ragionamenti.

Il primo è semplice.
Personalmente sono sempre stato per il "lavorare tutti, lavorare meno" e non è una questione di pigrizia, ma pratica. L'uomo ha le capacità tecniche per produrre con poche ore al giorno quanto gli serve se solo ci si concenrtasse sulle attività davvero produttive per il nostro benessere anziché su quei lavori che si limitano a far girare risorse prodotte da altri senza produrne di proprie (per carità, io ammetto di svolgere proprio uno di questi lavori).

Il secondo è più complesso.
la deriva dell'overwork riflette una cultura sbagliaa, materislista e modernista, nella quale si da per scontato che il lavoro e la produttività siano al centro della nostra vita. Ma dovremmo chiederci quale dottore ha ordinato questa cosa... Il lavoro è UNA delle parti della vita e non vedo perché dovrebbe sopprimere le altre.

Franca ha detto...

La detassazione degli straordinari appena varata dal Governo peggiorerà anche le condizioni di vita dei lavoratori italiani.
Forse non arriveremo a 15 ore al giorno, ma basta ricordare che gli operai morti nel rogo della Thyssen erano alla 12^...
Si dovrebbe lavorare per vivere e non il contrario...

Simone ha detto...

quasi in risposta al tuo post, ho appreso un'altra notizia cui ho dato eco sul mio blog.

Antonio c'è ancora speranza nel mondo.
Affila la tua lama, quando si scatenerà l'inferno voglio avere gente come te al mio fianco.